Mondo

Bagdad torna all’asilo

Riaprire 15 scuole materne nella capitale irachena. Perché la vita dopo la guerra può ricominciare da questo segno di speranza. E' il progetto di una ong Italiana, l’Avsi.

di Paolo Manzo

“Sino a Bagdad ci siamo spostati in aereo, poi abbiamo usato la macchina, compreso il tragitto Bagdad-Mossul, coi soliti posti di blocco che ci sono in zona di guerra. Sa, l?Iraq targato 2003 non è un Paese per farci le vacanze?”. Ha gli occhi più scuri del solito, appena nascosti dietro un paio di occhialini metallici, Alberto Piatti, direttore generale dell?Avsi, la ong della Compagnia delle Opere. Della stessa CdO Piatti è vice-presidente, ed è proprio nel suo ufficio di via Melchiorre Gioia a Milano che, in un?afosa giornata di giugno, inizia a raccontare ai lettori di Vita il perché di quel viaggio, in una delle zone del mondo più a rischio. Anche adesso che la guerra è finita. Ufficialmente. Vita: Perché ha deciso di andare in Iraq? Alberto Piatti: Ho accompagnato l?arcivescovo Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, che si è recato in Iraq per rispondere espressamente a un desiderio del Santo Padre. Vita: Quale desiderio? Piatti: Manifestare la sua vicinanza alle popolazioni dell?Iraq. Vita: Come avete trovato Bagdad? Piatti: I danni seguiti ai bombardamenti sono limitati a obiettivi ritenuti militarmente strategici. Ma è evidente che bombardare una centrale elettrica significa che il danno è contenuto, ma che la popolazione non ha più energia elettrica. Lo stesso discorso vale per la distribuzione dell?acqua potabile. Credo che questi siano i due problemi che danno più sofferenza alla popolazione. Vita: Chi avete incontrato a Bagdad? Piatti: Sia le autorità civili che quelle religiose. In particolare gli esponenti della Chiesa caldea. C?è una discreta presenza di parrocchie cristiano-cattoliche, sia a Bagdad che al Nord, a Mossul. Attorno a queste parrocchie ci sono delle opere di carità in cui si vede una possibile e praticata convivenza tra cristiani e musulmani. E questo è il primo segno di grande speranza nell?Iraq di oggi. Vita: Lei è stato anche a Nord: che differenze ha notato tra Mossul e Bagdad? Piatti: Nel Nord mi pare che ci sia già una ripresa di convivenza civile. Con dei consigli municipali, provvisori ma rappresentativi di tutte le etnie e confessioni religiose. In particolare ho incontrato il sindaco di Mossul e ho potuto vedere che nel Nord esiste un?attività amministrativa, pur sempre sotto il controllo degli anglo-americani. A Bagdad, invece, il problema è assai più complesso. Vita: Come lo spiega? Piatti: Con il fatto che è una città di 50 chilometri di diametro, l?estensione è notevole e ci sono dei quartieri davvero poveri. Ricostruire a Bagdad un tessuto amministrativo elementare sarà molto difficile. Soprattutto perché, come in tutti i regimi, quello di Saddam pensava per tutti e se non c?è un?indicazione precisa da parte dell?autorità, la gente non è più abituata a pensare, a intraprendere, ad assumersi delle iniziative. Vita: In cosa ha notato questa mancanza d?intraprendenza? Piatti: Ma? parlando con le persone del posto, e vedendo che non c?è l?abitudine a essere protagonisti. C?è ancora un marcato livello di ?prudenza? e di terrore, che deriva dagli anni della dittatura, in cui tutto era programmato. Senza poi soffermarci sulle atrocità e su alcune prigioni. Che ho visto con i miei occhi e che descrivono una situazione di ciò che avveniva nell?Iraq di Saddam. Vita: Cosa l?ha impressionata di più? Piatti: Ho visitato prigioni con camere di tortura molto attrezzate. Pensi che ce n?è una, proprio di fianco all?ospedale della Croce Rossa italiana, che è un monumento a dove può arrivare l?orrore umano: camere oscure, strumenti di morte e tortura, cavalletti, corde? Vita: L?Avsi presto sarà attiva in Iraq? Piatti: Sì, abbiamo visto che sussistono possibilità d?intervento immediato nel sostenere quelle che, qui in Italia, chiameremmo scuole materne. Le uniche rimaste libere? Vita: Perché? Piatti: Perché le altre scuole legate alla Chiesa, di ogni ordine e grado, erano state confiscate dal regime di Saddam. Per questo, ora, vorremmo sostenere questi asili parrocchiali che sono frequentati non solo da cristiani. E che sono un ottimo punto di riferimento per le famiglie, per riappropriarsi di un po? di speranza. Vita: Quindi, in Iraq, l?Avsi punterà sulla parte educativa? Piatti: Sì, anche perché rimandare i figli a scuola in una città occupata e in cui gli atti di terrorismo sono continui, una città in cui la sicurezza non è garantita, è un forte segno di speranza e di ripresa. Vita: Lei è ottimista? Piatti: No. Sull?Iraq, oggi, bisogna essere molto prudenti, perché è un Paese in cui alcune spinte fondamentaliste islamiche potrebbero creare problemi gravissimi. Vita: Quando pensate di iniziare la missione dell?Avsi in Iraq? Piatti: L?intervento sulle scuole materne lo faremo partire entro un paio di mesi. Vita: Cosa l?ha colpita di più della gente che avete incontrato? Piatti: Ciò che ho visto io, essendo in una delegazione ufficiale assieme a monsignor Cordes, è stato il grandissimo rispetto e l?enorme aspettativa per la Chiesa e il ruolo di equilibrio che questa può esercitare in Iraq. Ho visto tanta gente, indipendentemente dal credo religioso, che ripone speranza in una presenza cristiana e in un equilibrio di convivenza possibile. È questa la cosa che mi ha colpito assolutamente di più. Vita: Quindi non è vero l?odio dei musulmani nei confronti dei cristiani, di cui alcuni parlano? Piatti: Guardi, al netto delle spinte fondamentaliste che purtroppo ci sono e che sono, a mio avviso, per il momento ancora una minoranza, normalmente la gente che ho incontrato (cristiani e musulmani) sono molto speranzosi di una possibile convivenza. Vita: Secondo lei che si può fare per evitare che le spinte fondamentaliste diventino maggioranza in Iraq? Piatti: Mettere il prima possibile le persone nelle condizioni di riprendere una vita normale, di poter lavorare e svolgere le normali attività. Riavere l?elettricità, l?acqua, il carburante e quanto serve per una vita normale. Se la condizione della popolazione, già provata dalla guerra e dai bombardamenti, dovesse persistere in condizioni di precarietà, le spinte fondamentaliste avrebbero un terreno favorevole su cui operare. Vita: Prima il Vaticano ha fatto di tutto per evitare la guerra. Ora, cosa farà la Santa Sede nel post guerra? Piatti: Credo che non sia un problema che la Chiesa cattolica voglia avere un ruolo. Il Papa, dopo aver lanciato tutti gli appelli per evitare la guerra che, comunque, non aggiusta mai le cose bensì le rompe di più, ha voluto significare la sua vicinanza alle popolazioni irachene con questa nostra missione. E in questo senso è evidente che la presenza cristiana in Iraq, che è un fattore di libertà per tutti, deve aver riconosciuti i propri diritti, a esistere e a professare la propria fede. Vita: Per quanto riguarda i diritti della minoranza cristiana? Piatti: È un dibattito in corso in Iraq. Bisogna vedere come la nuova Costituzione recepirà la tutela dei diritti di tutti. Vita: È importante, anche perché sarebbe assurdo perdere una tutela per la minoranza cristiana che, comunque, in Iraq prima c?era. A differenza di molti altri Paesi, come per esempio l?Egitto? Piatti: Senza dubbio. E in un intervento seppur criticabile come quello che è stato fatto per liberare il Paese da un tiranno, sarebbe semplicemente assurdo che si ricostituissero situazioni ancora più gravi rispetto a quando c?era il tiranno. Sotto il regime di Saddam, la Chiesa caldea aveva una certa libertà di azione, rispetto agli altri Paesi musulmani? Vita: Quale sarà il ruolo dell?Onu? Piatti: Fondamentale, per due ragioni. Primo, perché nell?ultima Risoluzione Onu c?è l?attribuzione della componente ?aspetti umanitari? al sistema Nazioni Unite. Poi, perché, avendo gestito per anni il Food for Oil, l?Onu ha le strutture adatte e le conoscenze. Sono stato anche a colloquio con il responsabile locale dell?Undp, Francis Dubois, e mi pare che stia iniziando la collaborazione tra angloamericani e Nazioni Unite.


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